giovedì 28 ottobre 2010

Ma cos'è la cultura?

In un periodo così critico per la cultura (e non solo) italiana, Elisabetta Sgarbi è andata in giro per il Bel Paese a chiederlo direttamente alla gente: si è rivolta a persone semplici, così come a professori universitari, a lavoratori anziani e non, ma anche a persone appartenenti alla cosiddetta nobiltà, ed ancora a ragazzi e a giovani…comunque tutti italiani! È in questa maniera che è nato il film-documentario, presentato anche il festival del cinema di Venezia di quest’anno, intitolato “Se Hai una montagna di neve lasciala all’ombra” (che tra l’altro a breve sarà trasmesso anche dalla RAI).
Ad affiancare Elisabetta in questo vero e proprio viaggio  attraverso le diverse Regioni italiane si sono susseguiti nel ruolo di intervistatore diretto Edoardo Nisi, scrittore, ed Eugenio Lio, teologo.
Quando e se ne prendi visione fammi sapere cosa ne pensi!
Il tentativo, anche alla presentazione, è stato quello di proporre un filmato semplice e leggero, nonostante la pesantezza del tema, di creare un documentario che si presentasse come un’insieme di opinioni sincere e spontanee, non preparate.
Secondo me il risultato del loro lavoro è stato senz’altro piacevole se non altro grazie alle particolari inquadrature, che danno interessanti tagli agli scenari spesso caratterizzati anche da luci insolite, non meno azzeccate sono state le musiche (di Battiato); ecco sicuramente questi due elementi danno un tocco di personalità al filmato, ma quanto al non preparato francamente ho qualche dubbio..Ad ogni modo quello che ho sentito è stata una costante distanza degli addetti alla creazione del filmato dal mondo dei 'non intellettuali'. Ma può essere una mia percezione distorta, essendo particolarmente sensibile al tema..
Allora prossimamente “Se hai una montagna tienila all’ombra”! Mi raccomando!

domenica 17 ottobre 2010

..e noi come ci stiamo muovendo??





La cultura è l’unica garanzia per la libertà” questo è ciò che  emerge dalle parole di Jamila Hassoune, una donna coraggiosa che si è battuta e tuttora si batte per la diffusione della cultura nel suo Paese. La sua esemplare iniziativa parte dal Marocco ed in particolare da Marrakech; è qui che sin da piccola vive con la sua famiglia e il padre libraio, il quale trasmette alla piccola Jamila il grande valore che la cultura ha come elemento fondamentale per il vivere liberi. Ed è in questo clima che, una volta cresciuta ed assunte le redini della libreria del padre, pensa di diffondere la cultura nel suo Paese. E il modo in cui è riuscita a farlo è del tutto originale!

Una volta cresciuta ed assunte le redini della libreria del padre si rende conto che sono pochi i marocchini che frequentano il suo negozio. Intuendo quale fosse la problematica alla base di questo fenomeno, decide di aggiungere nel suo negozio un tavolo per permettere alla gente di consultare i libri e non solo di comprarli; in questo modo riesce a coinvolgere molte più persone. Ma Jamila non ha ancora raggiunto il suo obiettivo, perché ha sì avvicinato ai libri più persone, ma sono tutte di città, vuole coinvolgere anche la gente delle campagne e delle montagne marocchine! Ma come??

Con la caravan de livre! Considerando le grandi distanze e la difficoltà delle strade da percorrere Jamila ha pensato che le persone dei villaggi fuori dalla città non sarebbero potute andare alla sua libreria, così ha caricato la sua macchina di libri ed è cominciata l’avventura che dura tuttora: una vera e propria carovana di libri che dalla città si sposta da un paese all’altro cercando di incuriosire quanto più possibile le persone che incontra e dando ai giovani e alle donne di quei luoghi l’occasione importante di poter leggere e quindi di poter acculturarsi. È evidente che questa iniziativa ha anche come obiettivo quello di creare un dialogo tra le diverse culture che vengono ad incontrarsi, dialogo che fa crescere e che si contrappone quindi alla diffidenza verso il diverso.

 Jamila Hassoune si sta battendo perché il dialogo e la comprensione tra diverse realtà aumenti e perché si annulli la relazione che c’è tra la minore istruzione della popolazione e la sua maggiore esposizione al controllo politico.

mercoledì 13 ottobre 2010

DEGRADO E ALTERSWERT (VALORE DELL'ANTICO)

Il concetto di degrado è indissolubilmente legato a quello di ‘esistenza’: la vita stessa può essere vista come una progressione verso l’invecchiamento che si conclude nella totale dissoluzione,la morte. Se pensiamo ad esempio alla termodinamica ed in particolare al secondo principio, e al concetto quindi di entropia, è facile dimostrare questa analogia: come un sistema irreversibile disperde energia nel tempo, così l’universo che risulta essere il ‘sistema vivente dei sistemi viventi’ tenderebbe si all’espansione ma anche alla progressiva perdita di energia ed alla sua conseguente estinzione. Pensare alla vita spesso implica il confronto con il regno animale e gli esseri che ne fanno parte, tuttavia è facile vedere anche oggetti inanimati, ed in particolare architetture, come vere e proprie forme di vita di per sé esistenti. In questo senso allora è facile accostare il fenomeno del degrado che si manifesta a livello delle architetture ( e quindi penso al cambiamento del colore e della forma, alle alterazioni e al deperimento dei materiali costitutivi, …), come un vero e proprio invecchiamento fisiologico.
Il valore dell’antico secondo Riegl è rappresentato dalla cosiddetta patina del tempo, peculiarità positiva e affascinante tipica degli edifici costruiti nel passato. Il concetto di ‘Alterswert’ è quindi il valore positivo  che l’uomo dà a tutto ciò che appare vecchio. Credo che la forza di questo concetto non stia nell’accettare il naturale degrado della forma di una qualsiasi fabbrica antica, ma nel passo successivo ovverosia nel trasformare la considerazione di questo deperimento da mancanza a vera e propria risorsa  (ragionamento questo che suona così anacronistico e distante dai moderni modelli di consumo e stili di vita proposti dalle nostre civiltà occidentali). Sotto un certo punto di vista questa forma di invecchiamento, tipica dell’edificio che ha un riconosciuto ‘valore dell’antico’, è molto simile a quella relativa al degrado: in entrambi i casi si verificano una deturpazione della forma, dei possibili cambiamenti nel colore e nei materiali che la compongono, .. La differenza sostanziale tra queste due posizioni tuttavia sta nella timica, nel loro ‘segno’ inteso in senso matematico: nel primo caso questa mancanza è percepita in senso negativo, mentre nel secondo al contrario è vista in senso positivo.
Credo che il motivo di questa distinzione tra fabbrica degradata ed edificio caratterizzato da un evidente ‘valore dell’antico’ risieda nella percezione che l’astante ha dell’oggetto in questione. Un oggetto percepito come degradato non solo è deficitario in molte sue parti, ma secondo il mio parere risulta essere un oggetto illeggibile agli occhi dell’osservatore: quest’ultimo cioè non riesce ad intuire le funzioni originarie dell’oggetto, ma nemmeno i ruoli per cui era stato pensato. Allora non si percepisce un’antica rovina, ad esempio la thòlos di Delfi, come un insieme di elementi tra loro sconnessi (quindi un oggetto semplicemente degradato), ma come un'opera caratterizzata da un chiaro ‘Alterswert’: anche agli occhi meno preparati in materia risulta evidente che quelle colonne dovevano sorreggere una copertura e che quei piccoli cilindri scanalati di marmo un tempo dovevano essere altre colonne. Quindi se l’osservatore si confronta con un qualsiasi elemento antico che però non riesce a leggere, l’oggetto in questione non assumerà per la persona nessun valore dell’antico, bensì  sarà solo un oggetto degradato.   Concludendo vedo il fulcro del rapporto tra degrado e valore dell’antico in senso Riegliano nelle mani del soggetto, del fruitore, dell’osservatore.